Google

02 luglio 2007

Atene noi andiam Part 2/2

Svegliarsi in un bar ha l’indubbio vantaggio di poter bere un caffè in tempi rapidi. Mentre lo sorseggio, scorgo dai finestrini la terra greca: la meta appare sempre più vicina e l’attesa comincia a farsi snervante Dopo 21 ore di nave, termina la nostra Odissea per mare, ma ad attenderci non ci sono i Proci o Penelope, ma la “madama”. Innalzando cori che attirano l’attenzione di tutto l’equipaggio e degli altri passeggeri, risaliamo sui pullman, scortati dalla polizia. Prima di partire ci vengono distribuite sciarpe di raso celebrative della finale, che ormai nei nostri “orologi mentali” è a pochi passi di lancetta. Il tempo non è dei migliori: nuvoloni grigi che non promettono niente di buono, mentre da Atene ci avvisano che sta diluviando.
Dopo non molti chilometri, la polizia ci lascia. Atene è sempre più vicina quando attraversiamo Corinto, e mentre siamo assorti a osservare il mare sulla destra, ci ritroviamo a sinistra i pullman dei tifosi inglesi. Subito si alzano urla, cori e gestacci contro gli avversari. Per un attimo mi viene in mente una scena fantozziana di un “arrembaggio” tra un pullman di tifosi italiani e uno di scozzesi. La realtà, per fortuna, nega questa eventualità.
Gli inglesi ci sfilano a fianco anche a bordo di taxi, che formano una lunga colonna. Al successivo casello troviamo di nuovo la polizia ad accompagnarci e il nostro autista inscena un divertentissimo siparietto con le forze dell’ordine, lanciandosi in un dialogo in inglese maccheronico misto al dialetto milanese.
Quando ancora non abbiamo finito di sbellicarci dalle risate, entriamo ad Atene e ancora una volta la polizia ci lascia. Ma dove sarà lo stadio? Cominciamo a chiedercelo in tanti, soprattutto quando ci ritroviamo in una zona desertica della città, su una strada che sembra adatta a portare in montagna. Il nostro autista comincia a imprecare contro il suo collega che guida la colonna e che pare sia dotato anche di navigatore satellitare. Dopo non molto tempo ci troviamo incolonnati in una sorta di tangenziale e capiamo di essere sulla strada giusta.
Quando mancano 3 ore all’inizio della partita, giungiamo al posteggio dei pullman: qui ci accoglie un ragazzino inglese che ci saluta tenendo alta una sciarpa del Liverpool. Si alzano diverse minacce di morte, ma, per sua fortuna, il ragazzino sparisce non appena scendiamo.
Prendiamo lo stretto indispensabile per seguire la partita, alcuni si cambiano la maglietta, indossando la t-shirt che le Brigate hanno appositamente preparato per l’evento. Io ce l’ho su già da stamattina. Il sole comincia a farsi largo tra le nuvole: la serata sarà stellata per noi.
Ci incamminiamo tutti e 300 con bandiere e sciarpe, cantando festosi. In lontananza compare lo stadio e ci troviamo in mezzo a migliaia di tifosi rossoneri. Siamo come una legione che si unisce a un’armata.
Giungiamo alle transenne. Ho sempre il timore di non trovare più improvvisamente il biglietto, che viene controllato per ben tre volte prima dell’ingresso allo stadio. L’organizzazione non è delle migliori, e perdiamo molto tempo in coda: riusciamo a entrare in curva quando manca un’ora e mezza al fischio d’inizio. Lo spettacolo visivo è stupendo: siamo esattamente dietro alla porta, senza fastidiose reti che non lasciano vedere il campo. Nonostante le preoccupazioni della vigilia, siamo numericamente superiori agli inglesi. Ma è un’illusione che dura poco: col passare del tempo i reds aumentano, e ce li troviamo anche in un settore sopra di noi. Cerco di ingannare l’attesa comprando qualcosa da mangiare e da bere. Trovo solo delle Pepsi e nulla da mettere sotto i denti: fa niente, penserò dopo a mangiare, ora c’è la partita.
Sul maxischermo passano i gol dell’intera stagione europea e affiorano i ricordi: sembrava impossibile all’inizio dell’anno arrivare fin qua. Intanto le notizie sul Barone trovano una conferma, oltre che nella sua assenza, nei cori che chiedono libertà per gli ultras e in un striscione che recita: “La nostra priorità: Barone in libertà”.
I giocatori entrano in campo per il riscaldamento. Ci scaldiamo anche noi cantando per loro. Il Presidente Berlusconi viene, insieme a Ronaldo, a salutarci sotto la curva.
L’attesa viene riempita da spettacoli musical-coreografici, ma ciò non fa altro che aumentare la tensione.
Finalmente i giocatori sono in campo e l’arbitro dà il via al match: non aspettavo altro. Il Milan non sembra quello visto in semifinale contro il Manchester, anche se Kaka regala ai tifosi una “veronica”, mandandoli in estasi. Sta ormai finendo il primo tempo, ma i nostri attacchi non sembrano efficaci. Conquistiamo, però, una punizione nei pressi del limite dell’area. Reina è proprio nella porta sotto di noi, mentre Pirlo è pronto a tirar fuori qualcosa dal suo piede magico. Il pallone si alza sopra la barriera, intercetta Inzaghi che manda fuori tempo Reina: è goal! Esulto, esultiamo. Abbraccio anche un tifoso inglese venuto da Manchester per tifare Milan. Si gioisce con chiunque si trovi al proprio fianco. Rigustiamo sul maxischermo il goal di Pippo: è proprio un goal alla Inzaghi. L’arbitro manda tutti negli spogliatoi, mentre il nostro boato è ancora alto. Vorrei tanto che quel fischio fosse triplice, invece ci sono ancora 45 minuti al termine, e il ricordo di Istanbul si affaccia nella mente.
Il secondo tempo sembra scorrere veloce tra diversi cambi di fronte. Il Liverpool si fa più pressante, ma il Milan riesce a resistere e Inzaghi, pescato da Kaka sul filo del fuorigioco, raddoppia. La gioia è incontenibile e ormai si assapora la vendetta attesa per 2 anni. Il Liverpool ha il tempo di accorciare le distanze, ma la vittoria è nostra, la coppa è nostra.
Ci sentiamo tutti fratelli nell’impresa dei nostri ragazzi. Tra cori spontanei attendiamo che Paolo alzi la coppa, mentre i tifosi inglesi, seppur sconfitti, continuano a cantare il loro You’ll never walk alone. Scorgiamo le maglie bianche che salgono in tribuna a ritirare il trofeo. L’attesa è ora accompagnata da un ooohh di sottofondo che si trasforma in un gridato Olèè!! quando Maldini stende le braccia al cielo impugnando la coppa. È lei ora la beniamina dei tifosi, aspettiamo che i giocatori ce la portino sotto la curva, che ce la mostrino da vicino. Maldini, Inzaghi, Pirlo, Gattuso, Ambrosini, Dida, Gourcuff: tutti passano sotto di noi stringendola e baciandola.
È quasi trascorsa un’ora dal triplice fischio dell’arbitro e finalmente addento un panino appena fuori dallo stadio. Intanto, l’armata vittoriosa si divide festante. Ritorniamo ai nostri pullman, scambiandoci impressioni sulla partita: chi ieri temeva di tornare a lavoro sconfitto, ora non vede l’ora di presentarsi di fronte ai colleghi interisti e c’è già chi pensa alla loro festa scudetto rovinata dalla nostra vittoria.
Il Milan è sulla vetta dell’Olimpo mentre ripartiamo verso Patrasso, dove dovremo trascorrere molto tempo: il traghetto del ritorno parte alle 18. Ci viene promessa una sosta in un autogrill lungo la strada. Non c’è polizia a scortarci, giungiamo così in un’area di servizio. L’autogrill sembra troppo piccolo, si decide allora di proseguire oltre. Ancora un altro autogrill mini, stavolta ci fanno scendere. La calca è tanta e riesco a raggiungere a fatica il frigo delle birre. Ne prendo una, ma la calca mi spinge fuori, dove i “capi” stanno letteralmente trascinando la gente sui pullman. Qualcuno ha esagerato, trafugando quanto più possibile e scappando via. Risalgo sul pullman con la mia lattina non pagata, mentre il personale dell’autogrill rincorre alcuni ragazzi che abbracciano ogni ben di dio gastronomico. Il pullman resta fermo, mentre un altro comincia a muoversi. In un lampo i greci annotano i numeri delle nostre targhe e chiamano la polizia. Il nostro autista è giustamente irritato: ha paura di passare la nottata in questura. Inizia una trattativa tra i gestori dell’autogrill e i nostri “capi”. Uno di loro sale sul nostro pullman, visibilmente infuriato, comunicandoci che bisognerà fare una colletta per risarcire la merce rubata e i danni provocati: chi non è d’accordo può sempre discuterne con lui che promette schiaffi ai dissidenti.
Arriva anche la polizia e, dopo più di un’ora di mediazioni, i gestori accettano un risarcimento di 5 euro pro-capite, con la promessa di non denunciarci. Anche le forze dell’ordine chiudono un occhio: non ci portano in commissariato, ma ci scortano fino a Patrasso. Niente più soste fino all’arrivo. Il clima di festa, già svanito in autogrill, lascia spazio alla stanchezza. Mi addormento in viaggio e quando riapro gli occhi siamo già arrivati a destinazione: sono solo le 6 del mattino. Penso che 48 ore fa stavo per prendere la metropolitana, diretto a Sesto San Giovanni e ancora ignaro di quello che avrei vissuto nell’arco di due giorni. Il tempo è di nuovo brutto, chi paventava l’idea di fare il bagno resterà deluso. Mentre alcuni restano sul pullman a dormire, scendo alla ricerca di un bar dove far colazione. Lo trovo nei pressi del porto: sarà per il nome tipicamente italiano, sarà per la qualità del caffè, sarà perché non ho dimenticato che siamo campioni d’Europa, ma il cappuccino di questa mattina ha tutto un altro sapore, forse è quello che si chiama “della vittoria”.

Fine

Locations of visitors to this page