
A proposito dell'età dei nostri governanti, ecco alcuni estratti di un interessante articolo pubblicato dal sito
www.lavoce.info sul tema.
La Repubblica della terza età
In Italia, a 65 anni si va in pensione. Ma non in politica. Quando la quasi totalità delle carriere lavorative si esaurisce, quella politica raggiunge l’apice: se ne va un presidente del Consiglio di quasi 70 anni e ne subentra uno di 67. Carlo Azeglio Ciampi termina il suo mandato di Presidente della Repubblica a 86 anni e Giorgio Napolitano inizia il proprio a 81 anni.
È opportuno chiedersi quali siano le radici storiche di questo fenomeno, ma non è questa la sede per un’analisi approfondita, che lasciamo ai politologi. Ci limitiamo a due semplici osservazioni. Primo, nell’ultima campagna elettorale, si sono confrontati gli stessi candidati di dieci anni fa, un’eccezione assoluta nel panorama politico europeo. Secondo, negli anni di Tangentopoli, ci fu un profondo ricambio della classe politica. Nuovi protagonisti, come lo stesso Silvio Berlusconi da una parte, e Antonio Di Pietro dall’altra, emersero sul palcoscenico politico. Però, al pari del ricambio, non sembra esserci stato uno svecchiamento della classe dirigente.È importante, invece, soffermarsi sulle possibili implicazioni del primato della terza età nella politica italiana. La prima, e più ovvia, questione è quella della "rappresentanza".Per capirci, in Italia meno di un quinto della popolazione ha più di 65 anni. Si parla tanto di "quote rosa" e dell’importanza di avere donne che ricoprano alcuni posti chiave della politica. Ma la "questione anagrafica" è sistematicamente ignorata. Se prendiamo i cinque Ministeri chiave, Interni, Esteri, Economia, Giustizia e Difesa, l'eta' media e' 63 anni. Una squadra di sessantenni al vertice della classe politica di certo non promuove il coinvolgimento dei giovani nella vita politica attiva. Semmai, li allontana ulteriormente, rischiando di far apparire la carriera politica come un’attività in mano a un’altra generazione. Un po’ come le bocce.Poi c’è la questione delle competenze. Una visione ottimistica può far concludere che i politici italiani abbiano più "esperienza" dei loro colleghi europei, quindi commettano meno errori. È possibile. Ma è anche possibile che la nostra classe dirigente abbia conoscenze più datate, e perciò sia meno adatta a "gestire" e interpretare i rapidi processi di cambiamento della società contemporanea.La politica è un’attività produttiva. E purtroppo, il mondo politico italiano è lo specchio fedele del mondo del lavoro. In Italia, la mobilità sociale è bassissima, e il merito è premiato troppo poco. La carriera professionale si sviluppa soprattutto per anzianità, aspettando pazientemente il proprio turno per la promozione, e la politica non sembra essere un’eccezione.
Gianluca Violante